Nelle immediate vicinanze di Porta Macelli, toponomastica che ricorda una delle antiche porte di ingresso alla città medioevale, si possono ancora oggi osservare, in ampi stanzoni in laterizio con volte a tutto sesto, i macchinari di una delle due antiche filande cittadine, l’antica filanda di Atri dei Fioranelli, dal nome degli ultimi proprietari. Gli impianti dell’industria tessile come quello di Atri, realizzati con macchine dei Fratelli Galoppo di Valle Mosso in provincia di Biella e della Società Costruzioni Macchine Tessili con sede e fonderie a Prato in Toscana, hanno tradizione molto datata e ricollegabile all’antica pratica della transumanza antica ma, se vogliamo, anche moderna, che qui ad Atri, con la Doganella d’Abruzzo, qualche decennio prima, vide una delle più floride realtà agrosilvopastorali. La lana infatti, dopo la tosatura primaverile delle pecore veniva portata dai pastori stessi direttamente alle filande per ricavarne prodotto utile alla vendita. Nella nostra regione come anche in Puglia, si possono ancora oggi ridisegnare “Le Vie della Lana” sia grazie ai vecchi itinerari tratturali che nell’identificazione dei territori vocati alla pastorizia ma, e soprattutto, grazie alle vie che scaturivano dagli intensi scambi che la nostra regione e in particolare la nostra cittadina tesseva con il resto d’Italia ed in particolare il Meridione. Sul territorio regionale tra il 1850 e il 1900 nacquero molti importanti opifici tessili tra i quali ricordiamo il famoso Lanificio Vincenzo Merlino ubicato sul fiume Aventino a Taranta Peligna salito agli onori per aver realizzato la famosa mantella nera in dotazione all’esercito borbonico. L’indistruttibile panno di lana infeltrita era prodotto infatti nelle gualchiere di Taranta Peligna, paese dal quale deriva il nome della mantella, la “Tarantina”. Nello stesso periodo come ci racconta Pasquale Ventilii nel vol.III della monografia della provincia di Teramo del 1893, ad Atri venivano prodotti i conosciuti “carfagni”, panni grossolani di lana nera tipici delle nostre zone.
I macchinari della filanda conservati all’interno del sito, rappresentano le fasi di un ciclo produttivo per la cardatura, filatura e torcitura della lana, avviato agli inizi del XX° sec. in città, un sistema di trasmissione a cinghia alimentato ad energia elettrica, tipico dell’industrializzazione a inizio novecento. Le macchine provengono da zone di importante tradizione ossia: Prato e il Biellese. In particolare, la carda proveniente da Valle Mosso (Biella), è molto interessante poiché molte macchine del genere andarono perdute nell’alluvione che colpì la zona nel 1969.
I Macchinari
Il ciclo produttivo che seguiva la materia prima una volta arrivata in filanda era abbastanza lungo. Si partiva con l’introduzione della lana nel “CILINDRO DENTATO”, dove, in un macchinario simile ad una lavatrice in legno con il fondo in ferro traforato per lo scolo del sebo, si realizzava la pima rottura delle trame di lana, che, successivamente venivano indirizzate al “DIAVOLOTTO” e da qui agli altri macchinari che potete osservare nei locali dell’Antica Filanda di Atri.