È opera di Raimondo di Poggio e Rainaldo d’Atri, che la iniziarono verso il 1264, in sostituzione dell’Ecclesia de Atri, una chiesa romanica a cinque navate, eretta nel IX sec. Fu terminata nel 1305, mentre l’ottagono superiore del campanile venne apposto da Antonio da Lodi forse nel 1502.
FACCIATA Maestosa ed elegante nel succedersi ordinato dei conci in pietra d’Istria, termina con uno splendido portale, sormontato da sottili incorniciature cuspidate, entro cui trova posto un eccellente rosone a forma di ruota. Gli archivolti, i capitelli, i piedritti furono scolpiti da Rainaldo d’Atri e Raimondo di Poggio che si ispirarono alla tradizione dei marmorari romani e pugliesi, ma seppero realizzare una corrente artistica di spicco da cui si originò la “Scuola Atriana” che fiorì per tutto il Trecento. La cornice superiore della facciata attualmente orizzontale, in origine era cuspidata, di netto stile gotico; il frontone crollò per il terremoto del 1563.
LATO DESTRO Si trovano tre portali datati e firmati. Il primo è di Rainaldo d’Atri (1305). Di chiaro stile gotico presente un’elaborata ornamentazione a traforo di capitelli con uccelli beccanti ed un lineare coronamento cuspidato. Il portale di mezzo è di Raimondo di Poggio (1288). Si trova inserito tra due lesene e tra due leoni d’ispirazione ancora medioevale, con al centro l’Agnello Crucigero e gigli agli spigoli: gli stemmi della dinastia francese degli Angioini ancora regnanti. Il terzo è anch’esso di Raimondo di Poggio (1302) con ricchi ornamenti negli archivolti. Sopra i capitelli due fiere aggettanti: l’una con preda, pacifica, l’altra priva, quasi strepitante. Si tratta di un repertorio eccellente di maestria e tecnica. Nelle lunette sopra i portali, restano tracce di colore, affreschi svaniti per lo più quattrocenteschi.
LA PORTA SANTA Forse non tutti sanno che nel mondo oltre che a Roma e L’Aquila, anche ad Atri esiste una Porta Santa. Infatti, come ormai da secoli accade, nell’ambito della settimana dedicata all’Assunta, ogni anno a metà Agosto, si ripete la sacra cerimonia dell’apertura della Porta Santa della Basilica della Cattedrale. Assunta a tanto onore probabilmente dal 1295, la Porta si trova nella Cattedrale, sul lato meridionale, ed è il primo portale da sinistra. Opera di Rainaldo d’Atri.
La Porta Santa di Atri, come le altre, trova fondamento nella nota sentenza del Cristo “Ego sum ostium, per me si quis introierit salvabitur” (Io sono la porta e colui che entra per mezzo mio sarà salvato). La Perdonanza della Porta Santa sarebbe stata concessa da Papa Celestino V, il Papa eremita, abruzzese, compagno di Beato Francesco Ronci di Atri. Dal momento dell’apertura della Porta Santa e per otto giorni i fedeli hanno la possibilità di lucrare l’indulgenza plenaria, entrando dalla Porta Santa ed uscendo da quella centrale, dopo essersi confessati, comunicati ed aver recitato, con fede, un Pater Noster, una Ave Maria, un Credo e un Gloria (il popolo dei fedeli ha nel corso del tempo introdotto anche altri rituali).
L’apertura della Porta Santa viene preceduta da un ampio corteo che si conclude dinanzi ad essa; ivi il Vescovo sosta in preghiera, successivamente bussa alla porta ed accenna ad aprirla, dall’interno due ministranti la spalancano rendendo così possibile l’accesso per la Perdonanza.
INTERNO Di forma rettangolare a tre navate (originariamente cinque), misura in lunghezza m. 56,60 ed in larghezza m. 24,70. Ad una prima impressione di severa semplicità subentra subito un senso di ammirazione per le forme contenute rispetto al verticalismo gotico degli archi acuti. L’ampio spazio è interrotto da due serie di pilastri polistili, alcuni dei quali rivestiti in muratura. La luce penetra dall’occhio circolare della navata centrale e dalle finestre lunghe e strette che si aprono anche nel fianco destro.
Mirabile è anche la visione che offe il Coro dei Canonici, specialmente a luci accese, con alle pareti il ciclo pittorico di Andrea de Litio (1465-1471). Esso costituisce non solo il capolavoro immortale del pittore, ma la più vasta opera pittorica del primo rinascimento in Abruzzo a dimostrazione delle risultanze a cui potevano giungere le idee innovatrici fiorentine, fuori Toscana, in una regione, nel regno Napoletano, molto sensibile all’evolversi degli stili e delle forme.
Andrea de Litio nacque a Lecce dei Marsi nell’aquilano, verso il 1420. Da giovane formò la sua educazione culturale a Firenze, riuscendo a comporre in maniera così autonoma e complessa, da farlo ritenere un vero e grande Maestro, un insieme tra il neogotico di Masolino da Panicale e di Gentile da Fabriano con la scientificità innovatrice di Paolo Uccello e di Piero della Francesca, e con i nuovi apporti “cortesi” del neo-gotico internazionale.
Attivo in varie parti d’Abruzzo, le sue opere su tavola sono oggi sparse in alcuni musei degli Stati Uniti (Baltimora, Pensilvania), ma il suo capolavoro è dato da questo ciclo: “Storie di Gioacchino” nelle pareti superiori e “Storie di Maria“ in quelle mediane ed inferiori ove troviamo affrescati 101 pannelli, di cui 26 scene. In alto, in quattro vele, troviamo ampie figure di Evangelisti e Dottori della Chiesa, disposti come ad Assisi da Giotto nella Chiesa di San Francesco. Vi si nota un’intonazione ricca di immagini, di colori e di eleganza che avvicinano le splendide vele ad un’opera degna di un Van Eyck o di un Van der Veyden. Nel pittore che rifinisce una tavola, nella volta, sembra sia di vedere lo stesso Andrea de Litio. Tra le figure femminili agli angoli della volta “le virtù”; da osservare la Giustizia riprodotta in un francobollo italiano del 1977. Nelle scene di Gioachino e della Vergine sono mostrate matrone e giovinette nelle loro acconciature e molti personaggi atriani nei loro costumi; c’è anche una fedele documentazione della vita privata della ricca società atriana del Quattrocento. Da notare infine come il racconto popolare e fiabesco, scorre piano ed ingenuo, ma in realtà ricco di prospettive e di attenti contenuti, con notazioni di vita abruzzese, come i pastori ed il gregge, il ritorno dai campi, il saltarello.
Le opere più importanti della navata sinistra sono: nella controfacciata vari pannelli del sec. XIV. Di notevole interesse sono S.Orsola, Cristo nell’orto degli Ulivi, Cristo in mandorla, opere del Mestro d’Offida, un eccellente artista che realizzò queste opere nel 1340, con stilemi propri dell’arte bolognese e con echi ed assonanze della cultura napoletana.
Il Battistero (1503), edicola a quattro colonne finemente scolpite, è opera di Paolo De Garvis da Bissone di Como, compaesano del Maderno e del Borromini. Di elegante fattura testimonia la penetrazione in Abruzzo dello stile rinascimentale lombardo.
La Cappella Arlini, barocco primitivo del 1618, eseguita per l’omonima famiglia di origine lombarda, come è attestato dal biscione visconteo inquartato come elemento dominante nello stemma gentilizio degli Arlini.
La Cappella dei Corvi (1577) tutta in pietra, è opera dei marmorari atriani. In basso (corvo con becco rialzato) stemma dell’antica famiglia che fiorì soprattutto nel 1400.
Affresco Madonna d’alto mare (1475 circa) di Andrea De Litio, è un’opera magistrale di alto valore pittorico. Assume rilevanza anche perchè vi è raffigurata la vergine con gli angeli recanti in volo la Santa Casa di Loreto, disegnato con il porticato in legno, così com’era in origine. Perciò è una rara rappresentazione.
Di recente sono stati riportati alla luce i resti delle navate circolari della chiesa di S. Maria preesistente, di cui si conservano muri parietali, il Coro ed i pilastri stroncati.
L’affresco “Incontro dei vivi e dei morti” (1240 – 1250 circa), faceva parte dell’originaria chiesa del IX sec., a cinque navate; l’autore raffigura la vanità delle cose del mondo con due scheletri usciti da un sepolcro e tre nobili con paggi e cavalli, spaventati dalla vista. È un’opera stupenda per il tono raffinato e delicato con cui è trattata, simile ad una vasta miniatura. Soggetto ispirato alla cultura francese e bolognese presente a Napoli presso la corte angioina. Al di sopra S. Andrea Apostolo, figura bizantina dell’ultimo ventennio del Duecento.
Sulla navata centrale, sotto un manufatto con lastroni vitrei, si trovano i resti primitivi dell’edificio che in età romana, era stato adibito a terme. Interessanti gli avanzi di mosaici pavimentali in bianco e nero con figure di animali marini, quali cavallucci, delfini, pesci del III secolo d.C. presenti anche resti di un antico pavimento ad elementi quadrangolari in cotto della fine del sec. XI.
Nelle pareti e nei pilastri si svolge una rara decorazione pittorica, databile per lo più al trecento ed ai primi decenni del Quattrocento. Le pitture riflettono gli influssi giotteschi, di scuola bolognese e riminese, di cultura umbro-marchigiana ed abruzzese. Sulla navata di destra S. Giacomo e Santa Caterina, opera della metà del trecento di un artista locale, Luca d’Atri, formatosi nell’ambiente napoletano dei seguaci di Simone Martini. Nelle colonne di destra da notare la SS. Trinità con tre volti, S. Giovanni Battista, S. Biagio e Santa Caterina d’Alessandria, Cristo Benedicente, affreschi votivi raffinati e delicati eseguiti verso il 1437 da Ugolino da Milano, artisticamente riconducibile alla cerchia dei continuatori di Andrea da Bologna, dei Salimbeni e del Nelli; si tratta di un gotico fiorito settentrionale trasfuso nell’area marchigiana, con criteri innovatori nelle idee e nella tecnica. Nella parete destra prima dell’ingresso alla chiesa di S. Reparata si noti S. Berardino da Siena (1451) aureolato, opera gracile ed incerta di un artista atriano, Giovanni di Cristoforo. L’interesse iconografico sta nel fatto che fu dipinto ad un solo anno dalla canonizzazione del Santo. Ancora su un pilastro della nave centrale Madonna adorante con bambino (1475) opera di Andrea De Litio eseguita prima degli affreschi del Coro, con l’aiuto di Giovanni da Novara, un valido collaboratore del maestro abruzzese.
La Cappella di S. Anna (1503) in fondo alla navata di destra è un altro monumento architettonico di Paolo de Garvis. È detta anche la Cappella Acquaviva, dove si tumulavano i corpi dei Duchi Atriani.
CAMPANILE Si trova sul filo del fianco sinistro, rivestito di conci in pietra d’Istria; è alto 54,5 metri ed ha una scala interna di 147 gradini. Pregevole esempio di architettura romanica, è a pianta quadrata, poggiante su un solido basamento di età romana. Iniziata la costruzione nel 1252 venne completata nel 1305 fino alla torre con le celle delle quattro campane. La parte terminale venne conclusa nel 1502 dal famoso architetto lombardo, Antonio da Lodi, che costruì simili cuspidi in molti campanili delle terre adriatiche. Formelle di ceramica sono inserite ad ornare il coronamento, come quelle della facciata della Chiesa di S. Nicola e del campanile di S. Agostino, provenivano dalle primitive fabbriche di Castelli (Te).
Chi salga sul campanile in una splendida mattinata potrà godere di un’ottima visuale panoramica, oltre a toccare severi bronzi, del peso di varie tonnellate. Da qui il visitatore potrà ammirare la città sottostante con le varie torri, in lontananza il Gran Sasso d’Italia e più da vicino il mare con la riviera adriatica. Con un buon cannocchiale da marina ed a cielo sereno spiccano anche le cime delle Alpi Dinariche nel territorio Jugoslavo.